L’economia sostenibile è un modello incentrato sullo sviluppo sostenibile attraverso un impiego attento e misurato delle risorse naturali. Questo per fare in modo da poterne permettere l’utilizzo anche alle generazioni future.
In pratica lo sviluppo sostenibile ha come obiettivo quello di preservare nel tempo la qualità e la quantità delle riserve naturali.
In sintesi lo sviluppo sostenibile deve rispettare la cosiddetta regola delle tre E:
- Ecologia. Con ecologia si fa riferimento alla capacità dell’ambiente di mantenere le sue funzioni nel corso del tempo. Le principali funzioni dell’ambiente sarebbero quella di fornire risorse (dirette e indirette) e smaltire rifiuti.
- Equità. Il concetto di equità a cui si fa riferimento è quello di equità intergenerazionale, nel senso che le generazioni diverse godono del medesimo diritto di usufruire delle risorse del pianeta.
- Economia. In questo caso ci si riferisce all’economia come alla capacità di creare una crescita duratura degli indicatori economici. La capacità di generare reddito e lavoro e sostenere nel tempo le popolazioni. Valorizzarne le specificità territoriali e allocarne efficacemente le risorse.
Alla base dell’economia sostenibile si cela l’esigenza di conciliare la crescita economica e l’equa distribuzione delle risorse.
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ToggleLa crescita economica da sola non basta dal momento che ogni sviluppo è reale solamente quando migliora la qualità della vita.
Il concetto di sostenibilità concerne quindi la capacità, da parte di un’economia, di sostenere nel tempo la produzione di capitale inteso sia come capitale economico che umano e naturale.
Di fatto, poiché l’intero modello si basa sulla capacità da parte del pianeta di ripristinare in un certo periodo le energie utilizzate, il sistema economico non deve essere messo davanti a quello ecologico.
Nel corso degli anni il concetto di sviluppo sostenibile è stato esposto ad alcune critiche. Tra le più importanti quella secondo cui è impossibile pensare che uno sviluppo economico basato sui continui incrementi di produzione sia in sintonia con la preservazione dell’ambiente. La riprova è data dal fatto che le società occidentali anche in periodo di crisi sono chiamate a consumare più del necessario quando ciò serve mantenere alta la crescita economica.
Ma cos’è esattamente l’economia sostenibile?
Per economia sostenibile intendiamo un modello di economia volto alla salvaguardia dell’ambiente e delle forme di vita che lo abitano.
Alla base della di questo tipo di economia c’è il principio di cooperazione, grazie al quale ogni singola persona, al di fuori di comunità e istituzioni, può contribuire alla costruzione di questo nuovo assetto della società.
Dal punto di vista normativo, questa forma di economia si basa sul concetto di sviluppo sostenibile, lanciato per la prima volta nel 1987 con il Rapporto Brundtland da parte della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo.
Tale commissione aveva l’obiettivo di salvaguardare le risorse terrestri al fine di garantire alle prossime generazioni il pieno soddisfacimento dei bisogni,
Il nostro Paese, con il Codice ambientale (Dlgs 152/2006), incentiva e impone la conformazione di tutte le attività giuridicamente rilevanti al principio dello sviluppo sostenibile.
A livello internazionale, nel corso degli anni, sono stati redatti documenti e testi normativi atti alla messa a punto di una strategia di economia sostenibile il più possibile su larga scala. Sono state coinvolte diverse nazioni che hanno puntato su solidarietà e cooperazione.
Economia sostenibile: obiettivi e campi di applicazione
Le aree di applicazione dei principi della sostenibilità sono molteplici e fanno riferimento ad ogni aspetto della nostra società.
Tra gli obiettivi primari dello sviluppo sostenibile:
- Efficienza nell’impiego delle risorse, nello specifico dell’energia;
- Riduzione dell’impiego di sostanze nocive per l’ambiente;
- Riduzione della quantità di rifiuti prodotta e attività di riciclo.
L’economia sostenibile rende evidente che la Terra è di tutti, l’unica che abbiamo a disposizione. La nostra terra, la nostra aria, la nostra acqua.
Poiché il ciclo di produzione inizia con l’acquisizione di materie prime e risorse naturali è in quel momento che diventa necessario intervenire per ridurre al minimo la pressione esercitata sui sistemi naturali.
La risposta dell’economia sostenibile sono le materie prime-secondarie, ovvero quelle materie già utilizzate in cicli produttivi precedenti, recuperate da scarti e rifiuti e rigenerate per essere reimmesse in un nuovo ciclo di produzione.
Al termine del ciclo, quando si sta per creare il potenziale rifiuto, l’economia sostenibile prevede di gestire la fine vita di ciascun prodotto. Come? Attraverso una fase di raccolta, scomposizione e recupero, quanto più ampia possibile, dei materiali che lo compongono in modo da poter essere appunto rigenerati e riutilizzati in nuovi cicli produttivi.
Ma Riciclare non è l’unico assioma su cui si basa questo tipo di economia. È importante menzionarne almeno altri due: Ridurre e Riutilizzare. Se il primo, riciclare, riguarda soprattutto la sfera delle imprese (la produzione) questi ultimi hanno molto a che fare anche con il comportamento di noi cittadini nelle nostre scelte di consumo.
Ridurre significa in primo luogo eliminare gli sprechi. Come cittadini spendiamo una fetta non trascurabile del nostro reddito nell’acquisto di beni che poi non utilizziamo o che diventano troppo presto dei rifiuti. Solo nell’ambito alimentare, ad esempio, si stima che oltre il 25% degli alimenti acquistati dalle famiglie non vengano effettivamente consumati e finiscano nella pattumiera.
Ma ridurre significa anche ripensare il nostro approccio come consumatori, ad esempio spostando l’attenzione dal possesso di un bene all’uso dello stesso.
Riutilizzare significa sostanzialmente allungare la vita dei beni in circolazione.
Viene appunto ritardata la loro fine vita, e può avere almeno due applicazioni possibili:
- la prima è quella di optare per la riparazione di un bene in luogo della sua sostituzione;
- la seconda è quella di preferire l’acquisto di beni usati o rigenerati, e pienamente efficienti, all’acquisto di prodotti nuovi.
Il modello dell’economia sostenibile riprende e riabilita molte delle indicazioni che sono alla base della teoria della “decrescita serena”. Una teoria formulata dal filosofo ed economista francese Serge Latouche e liquidata in passato un po’ troppo sbrigativamente, e con toni inutilmente sarcastici, dal pensiero economico mainstream.
Tale teoria riemerge inoltre con forza, come critica del modello di produzione e consumo che ha dominato fino ad oggi, anche nella teoria della “prosperità senza crescita”propugnata dall’economista britannico Tim Jackson. Egli indica, fra le diverse misure da adottare proposte per realizzare tale nuovo modello, nientemeno che lo smantellamento della cultura del consumismo.
Certo, se questa è la posta in gioco, l’orizzonte temporale al 2030 indicato dai SDGs dell’ONU è estremamente ravvicinato. Questo implicherà un’accelerazione formidabile nella trasformazione del quadro economico a livello globale, col rischio non trascurabile di gravi contraccolpi.
Ma, anche se l’orizzonte temporale in cui tale trasformazione dovrà compiersi fosse più lungo, dobbiamo convincerci che il suo avvio è improcrastinabile.
Questo perché la natura non concederà molto altro tempo prima di manifestare, in modo anche drammatico, l’insostenibilità del modello attuale.
L’economia green e le aziende
Sono oltre 432mila le imprese italiane dell’industria e dei servizi con dipendenti che hanno investito in prodotti e tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2.
Lo studio, che misura la forza della green economy nazionale, evidenzia una forte spinta del sistema imprenditoriale italiano verso dinamiche di sviluppo sostenibile con un record di eco investimenti nel 2019. Proprio nell’anno in corso, infatti, la quota di contributi in tal senso raggiunge un valore pari a 21,5%, corrispondente a un valore assoluto di quasi 300mila imprese e di 7,2 punti superiore a quanto registrato nel 2011.
Le aziende analizzate hanno un dinamismo sui mercati esteri nettamente superiore al resto del sistema produttivo italiano.
In particolare le imprese manifatturiere (5–499 addetti). Il 51% delle eco-investitrici ha segnalato un aumento dell’export nel 2018, contro il più ridotto 38% di quelle che non hanno investito.
Queste imprese innovano più delle altre, lo dimostra il fatto che il 79% ha sviluppato attività di innovazione, contro il 61% delle non investitrici. Innovazione che guarda anche a Impresa 4.0. Tra le imprese eco-investitrici, il 36% ha già adottato o sta portando avanti progetti per attivare misure legate al programma Impresa 4.0, quelle non investitrici sono al 18%.
Economia sostenibile ed occupazione
Nel 2018 il numero dei green jobs in Italia ha superato la soglia dei 3 milioni: 3milioni e 100mila unità, il 13,4% del totale dell’occupazione complessiva (nel 2017 era il 13,0%).
Si riscontra, inoltre una notevole crescita dell’occupazione “verde” nel 2018, con un incremento di oltre 100 mila unità rispetto al 2017 ed un +3,4% rispetto al +0,5% delle altre figure professionali.
L’economia sostenibile è anche una questione anagrafica. Un’importante spinta al sistema manifatturiero italiano verso la sostenibilità ambientale, infatti, è impressa dai giovani imprenditori.
Tra le imprese guidate da under 35, il 47% ha fatto eco-investimenti, contro il 23 delle over 35.
Lo sviluppo sostenibile è legato a doppio filo anche alla cura sociale. Il 56% delle imprese green sono imprese coesive.
Imprese che investono nel benessere economico e sociale dei propri lavoratori e della comunità di appartenenza relazionandosi con gli attori del territorio. Tra le imprese che non fanno investimenti green, invece, le coesive sono il 48%.
Nei prossimi 5 anni, l’economia sostenibile offrirà una opportunità di lavoro su 5 sia nel settore privato, sia in quello pubblico.
Insomma, la crescita dell’economia italiana verso la sostenibilità e l’ambiente è in pieno svolgimento.
Possiamo dire che l’Italia è in anticipo rispetto alle altre economie europee.
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