La finanza sostenibile è l’applicazione del concetto di sviluppo sostenibile all’attività finanziaria. L’idea di fondo rimane quella di garantire la “capacità di futuro”. Precisamente l’uso razionale delle risorse in modo da non compromettere la capacità delle risorse stesse di continuare a produrre valore nel tempo.
La finanza sostenibile, quindi, si pone l’obiettivo di creare valore nel lungo periodo. Ossia indirizzare i capitali verso attività che non solo generino un plusvalore economico, ma in modo che siano al contempo utili alla società.
Questo permette di superare le capacità di carico del sistema ambientale e rende la finanza sostenibile diversa dalle operazioni meramente finanziarie.
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ToggleLa finanza sostenibile è un mercato in grado di generare valore economico e sociale sul lungo periodo.
La Finanza sostenibile, già a partire dal 2013 propone soluzioni che oltre a perseguire logiche finanziarie, integrano fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) nel loro processo di investimento. La società segue un approccio ESG a 360 gradi:
- La selezione degli emittenti;
- il processo d’investimento;
- il monitoraggio continuo dei portafogli da parte del risk management;
- la reportistica di rendicontazione sull’impronta di carbonio;
- il calcolo dell’impatto positivo sulle 3 componenti ESG delle scelte di portafoglio;
- l’attività di engagement nei confronti delle società nelle quali investono i fondi.
Ci stiamo avviando verso un futuro in cui non esisteranno investimenti che non siano ESG, tutti i prodotti saranno ESG di default, saranno strutturalmente ESG.
Perché gli investimenti sostenibili (ESG) sono sempre più vincenti?
Secondo recenti sondaggi, gli investimenti ESG (Environmental, Social and Governance) sono sempre più associati ad indicatori Alpha, ovvero quelli che determinano la crescita maggiore. Un trend in crescita e in grado di creare un impatto positivo sul mondo, soprattutto secondo i giovani.
C’è Alpha negli ESG, ovvero la capacità di generare profitto.
Chi si occupa di finanza sa che con beta si misura la reattività di un titolo in funzione del mercato, e che alpha esprime la sua attitudine a cambiare di valore indipendentemente dall’andamento del mercato.
Un indicatore alpha positivo segnala che il titolo è in grado di crescere più del suo mercato di riferimento. Mentre un valore negativo indica la possibilità dello stesso a subire perdite indipendentemente dall’andamento generale del mercato.
È ritenuto importante dagli investitori perché serve a misurare il ritorno attivo di un investimento, cioè la sua possibilità di battere il proprio indice di riferimento.
A livello globale, il 59% dei consulenti finanziari, il 57% dei fund buyer professionali e il 56% degli investitori istituzionali ritiene che gli investimenti ESG, siano una fonte di alpha.
Questo risulta nel sondaggio pubblicato recentemente da Natixis Investment Managers.
La percentuale è ancora più importante, 70%, se l’orizzonte è quello dei consulenti finanziari italiani.
L’analisi raggruppa e analizza i dati di quattro indagini globali condotte tra:
- professionisti della finanza;
- investitori individuali, investitori istituzionali;
- fund buyer professionali.
Da qui emerge anche un altro dato altrettanto interessante.
Il 55% degli investitori istituzionali sta pianificando un aumento dell’allocazione negli ESG nel corso del 2019. Questo perché è sempre più diffusa la consapevolezza che le strategie ESG possano ridurre l’esposizione ai rischi sociali e di governance non identificati dall’analisi tradizionale.
Infatti, oltre la metà (56%) degli investitori individuali ritiene che le società in grado di dimostrare un maggiore livello di integrità supereranno le altre in termini di performance.
I quattro quinti (81%) richiedono un allineamento tra gli investimenti e i propri valori personali.
Più dei due terzi dei consulenti finanziari (68%) hanno dichiarato che sarebbero più propensi a raccomandare i prodotti ESG se fosse disponibile una migliore documentazione.
In Italia la percentuale arriva al 70%.
Questa sempre maggiore sensibilità dimostrata dai professionisti della finanza, deriva principalmente dalla crescente richiesta di attribuire rilevanza alle strategie ESG da parte degli investitori.
Infatti, la survey evidenzia che la richiesta supera l’offerta, soprattutto presso gli investitori più giovani.
Quali generazioni tendono ad investire di più?
A differenza delle generazioni più anziane, il 56%, dunque la maggioranza degli investitori appartengono alla categoria millenial.
Parlo di coloro che sono nati tra gli anni ’80 e il 2000 e rappresentano l’ultima generazione del XX secolo.
Una quota leggermente inferiore, il 48% della generazione X ossia quella dei nati tra il 1960 e il 1980, hanno dichiarato di voler attribuire ai propri investimenti un impatto positivo sul mondo.
Sulla stessa lunghezza d’onda troviamo solo il 41% dei Baby Boomer. Con questa espressione si fa riferimento alla generazione dei nati tra la seconda metà degli anni Quaranta e la seconda metà degli anni Sessanta. Individui quindi che hanno oggi, nel 2019, tra i 55 e i 73 anni.
Il 30% appartiene invece alla Silent Generation.
La Silent Generation è la corte demografica che precede i Baby boomer . I demografi e i ricercatori usano la metà della fine degli anni venti come l’inizio della nascita e la prima metà degli anni quaranta come fine della nascita.
Sembra evidente che la maggiore spinta arrivi proprio dalle persone appartenenti a quella generazione che è stata più volte definita anche come Generazione Peter Pan.
Questo a causa della sua attitudine a procrastinare alcuni riti di passaggio all’età adulta rispetto ai tempi delle generazioni precedenti.
Nonché in virtù di una certa preferenza verso una più lunga coabitazione con i genitori.
Quando la generazione Z (stiamo parlando di coloro che sono nati dopo il 2000) sarà matura per accedere ai mercati, non sarà più necessario neanche formulare la domanda o redigere indagini.
Ricordiamoci che stiamo parlando di una generazione che ha le idee molto chiare in fatto di nuove tecnologie ma anche di salute e benessere.
Infatti, quasi i due terzi (66%) degli investitori istituzionali ritengono che l’ESG diventerà una pratica standard nei prossimi cinque anni, rispetto al 60% del 2017.
Finanza sostenibile e gli ESG: l’investimento del futuro
Quando si parla di Esg si parla di investimenti che hanno un impatto ambientale ma non è solo questo. L’acronimo indica anche un approccio basato una governance di buone pratiche che abbiano un impatto positivo sull’ambiente circostante.
Ovvero attuare investimenti con il profilo del buon padre di famiglia. Esg non è la panacea a tutti gli scandali finanziari, ma sta diventando un tema di grande attualità.
La finanza sostenibile assicura sempre un rendimento, non è una donazione a fondo perduto.
La differenza è, che nei progetti Esg, l’investitore è disposto a rischiare di avere un rendimento più basso del mercato o addirittura di non averlo, pur di avere la certezza di un impatto ambientale o sociale
I millennials saranno la generazione del futuro ma i soldi da investire per ora non ne hanno molti. Gli investitori rimangono per la maggior parte pensionati o ricchi.
Entrambe le categorie appartengono alla generazione dei baby boomer più sensibile ad avere rendimenti vantaggiosi che a far bene alla comunità.
Perché alla fine è questo il lavoro dei consulenti: impiegare i soldi degli investitori in asset che generino rendimento.
Ed è forse per questo che i fondi Esg si rivolgono più agli investitori istituzionali piuttosto che i retail, ovvero gli investitori privati.
Siamo indietro rispetto a Paesi come la Francia sugli Esg perché il problema è culturale. Prima bisogna creare una sensibilità nei cittadini e rendere loro consapevoli dell’impatto positivo di questi investimenti.
In questo modo si può creare un consenso che permetterà alle istituzioni di rischiare. Si tratta tra l’altro di una battaglia culturale vincente per le aziende nel lungo periodo.
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