Made in Italy o Italian made: quale sarà la scelta migliore?

Made in Italy o Italian made? Ebbene sì, mio caro esportatore, questa è una domanda che ti devi porre perché è alla base di ogni internazionalizzazione. Serve a capire dove e come vendere i tuoi prodotti in giro per il mondo.

Se sei un imprenditore che punta sulla filiera al 100% italiana, i modelli, Made in Italy e Italian Made, per te saranno probabilmente inconciliabili.

Ma riflettiamo su tre punti:

  • Le materie prime sono di importazione oppure le materie sono Italiane fin dall’origine ?
  • Quando si può definire un prodotto Made in Italy ?
  • Posso considerare Made in Italy dei prodotti le cui materie prime arrivano da Paesi Esteri?

Da un lato osserviamo l’imprenditore dell’agro-alimentare nazionale che ha scelto di avere la propria produzione soltanto ed esclusivamente attingendo le risorse dal nostro territorio.

Pertanto insisterà sulla tracciabilità degli alimenti e sulla vericidità dell’ etichetta ” Made in Italy” (questo approccio piace al 90% dei consumatori italiani che sono disposti a spendere qualcosa in più se l’alimento è 100% italiano -fonte: Ministero politiche agricole -).

Dall’ altro troviamo i big player della industria alimentare italiana che hanno deciso di esportare il “saper fare” italiano. Costoro rivendicano l’italianità al 100% della propria produzione.

Questa definizione e questi due modelli di business hanno generato due figure ben distinte.

  • L’imprenditore “Made in Italy” che si scontra e si confronta con dinamiche e regole “italiane”.
  • L’imprenditore ” Italian Made” che cavalca, nella logica della internazionalizzazione, i vantaggi che in altri Paesi vengono dati in tema di sostenibilità ambientale o di rispetto dei lavoratori.

Questa situazione ha portato la morìa di parecchie filiere agro-alimentari italiane e ha premiato l’industria che ha sfruttato meglio la gestione dei costi.

In realtà la crisi delle filiere agro-alimentari non è dovuta esclusivamente ai costi, ma anche ai seguenti motivi:

  • difficoltà di produzione in alcuni territori disagiati;
  • cattiva politica di marketing;
  • assenza di cultura di branding;
  • posizionamento.

L’Italia ha 4,7 abitanti per ogni ettaro di superficie agricola utile. La media europea è di 2,9 abitanti per ettaro .

L’area agricola utilizzabile è scesa dall’88% all’attuale 45%, di conseguenza diminuiranno anche i prodotti della terra e saremo costretti ad acquistare le materie prime all’estero.

L’Italian Made aiuterà il Made in Italy trovando nuovi canali di sbocco sui mercati esteri .

Ora che ho fatto una panoramica su questi due settori andiamo un po’ più nello specifico.

Con i riflettori puntati sul cibo e sull’alimentazione (Expo non sta passando inutilmente), il dibattito sul made in Italy si fa ogni giorno più stringente.

Da un lato l’obiettivo del Ministero delle Politiche Agricole di portare l’export alimentare a 50 miliardi di euro nel giro di pochi anni.

Dall’altro la consapevolezza, che comincia a farsi strada nei protagonisti della filiera che, per raggiungere tale obiettivo, occorra unire gli sforzi e agire in maniera coordinata.

Nel mezzo i cittadini consumatori che vogliono sempre più spesso sapere che cosa mangiano, dove e come è allevato l’animale di cui si cibano e dove e come è coltivato quell’ortaggio o quel frutto.

Gli esempi di questa concentrazione di interessi sopra e attorno al cibo si moltiplicano.

Si è appena conclusa infatti la battaglia sul ritorno dell’indicazione dello stabilimento di produzione sull’etichetta che già se ne profila un’altra per affiancare a quest’ultima la dichiarazione d’origine del prodotto.

Il ministro Maurizio Martina lancia una nuova sfida all’Europa: “Ribadito alla Commissione UE il no ai formaggi senza latte fresco. Avanti per la tutela dei consumatori e dei nostri produttori”.

Il “fare meglio italiano” consiste nello sviluppo dell’idea di un ecosistema agro-alimentare nostrano che, facendo un passo avanti, deve superare quegli schemi che vedono contrapporsi gli interessi dei coltivatori a quelli dell’ industria di trasformazione e distribuzione.

Un tema particolarmente spinoso, che si affronta spesso e volentieri, è quello di riuscire a definire il vero prodotto Made in Italy.

Quest’ultimo deve essere prodotto interamente in Italia o si può anche definire “italiano” un prodotto per creare il quale vengono utilizzate materie prime estere?

Accettando la prima ipotesi, buona parte dell’industria agro-alimentare italiana sarebbe fuori gioco, mentre nel secondo caso si premierebbe solo ed esclusivamente l’origine della materia prima.

Nella fattispecie il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, afferma che, secondo quanto emerso dalla consultazione svolta dal Ministero delle Politiche Agricole il 96,5% dei consumatori ritiene necessario che l’origine dei prodotti agricoli debba essere scritta in modo chiaro e leggibile nell’etichetta.

In un difficile momento di crisi bisogna portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e della verità per combattere la concorrenza sleale e rispondere alle reali esigenze dei consumatori.

Quando si parla di importazione necessaria di materie prime alimentari bisogna ricordare anche che esistono aree agricole, non più coltivate perché non più redditizie, che andrebbero invece rivitalizzate.

Proprio questo è il punto di partenza del ragionamento di Roberto Brazzale, presidente del Gruppo Brazzale (azienda lattiero-casearia che produce oltre al formaggio Gran Moravia – in Repubblica Ceca – burro, quattro prodotti DOP e sei diversi marchi).

Lui sostiene che, per riuscire a soddisfare la domanda complessiva di alimenti, composta dalla somma dei consumi interni più la quota destinata all’export, l’Italia deve necessariamente importare dall’Estero materie prime da trasformare e anche prodotti finiti.

Diverse filiere alimentari non sono e non potranno mai essere autosufficienti, tanto è vero che molte produzioni italiane sono bloccate per sostenere i prezzi.

Ma allora vogliamo che questo cibo sia prodotto all’estero e poi venduto in Italia, oppure vogliamo via via riuscire ad intercettare questo flusso?

Vogliamo diventare sempre più protagonisti nell’imponente fabbisogno di produzione e trasformazione di alimenti, per soddisfare la domanda interna e quella di export potenzialmente illimitata?

Sempre sul fronte industriale la testimonianza di Pasquale Petti, amministratore delegato dell’omonimo gruppo conserviero, va proprio nella direzione di una saldatura con il mondo agricolo. “Per il nostro progetto di marca utilizziamo solo pomodoro toscano lavorato a bassa temperatura.

Per questo abbiamo deciso di far entrare al nostro interno, con quote societarie, la parte agricola del processo produttivo, ovvero l’Asport (Associazione produttori ortofrutticoli toscani).

Diventa necessario per garantire, ai consumatori finali, oltre a qualità ed innovazione dei processi di trasformazione, anche la tracciabilità e la provenienza della materia prima”.

La questione dirimente sta invece nel consumatore, nel cittadino che vuole trasparenza e chiarezza dell’informazione.

Lo scopo è quello di poter scegliere, a ragion veduta, se acquistare un prodotto che arriva da materia prima estera (lo fa già con l’olio extravergine) o un prodotto interamente italiano.

Da questo articolo si evince che sia il Made in Italy sia l’Italian Made sono fondamentali per lo sviluppo dell’economia Estera ed Italiana.

La cosa importante è la tracciabilità del prodotto.

le etichette devono essere chiare e trasparenti, sia per quanto riguarda gli ingredienti sia per quanto riguarda i luoghi di provenienza delle materie prime.

In questo modo entrambi i settori potranno andare avanti ed avere al tempo stesso dei clienti soddisfatti.

E tu come sei messo nel settore dell’export? Sei già nel ramo dell’internazionalizzazione o ci stai ancora pensando?

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