Coronavirus: quanto impatterà sull’economia globale e Italiana?

Sicuramente è presto per fare un bilancio dei danni del coronavirus all’economia globale, europea o italiana.

Non lo è per sapere che questo choc si innesta su un tessuto già indebolito e in difficoltà.

È tutt’altro che lontana la prospettiva di una recessione in Italia, l’ennesima in questo decennio, e forse anche di una recessione in Germania.

Tutto questo, naturalmente, avviene sullo sfondo di una politica monetaria della Banca centrale europea che non ha più molte munizioni a propria disposizione per reagire a un rallentamento.

Se questo è il quadro, i responsabili della politica economica in Italia non hanno più tempo per chiedersi per chi suona la campana.

Piazza Affari tocca il -6%, la settimana della moda registra un calo dell’80% di compratori cinesi mentre il Carnevale di Venezia perde 22 milioni di euro per colpa del virus.

È solo l’inizio, con previsioni che stimano un impatto dell’epidemia sul Pil dell’Italia ben oltre lo 0,2%.

Si sta verificando un evento raro e imprevedibile in grado di ribaltare l’economia mondiale e nazionale. Iniziando dalla microeconomia fino ad arrivare alle Borsa mondiale. I listini europei, stano vivendo momenti negativi proprio a causa dei timori legati al virus cinese.

Mentre l’Italia sta attirando l’attenzione dell’Organizzazione mondiale della sanità e di diverse nazioni, l’emergenza è affrontata in modi molto diversi nel mondo.

Secondo la stampa americana, per esempio, Donald Trump si è arrabbiato perché 14 cittadini statunitensi che erano tra i passeggeri della nave Diamond Princess in Giappone, sulla quale la gestione dell’emergenza è stata pessima.

Sono stati fatti rientrare negli Usa senza dirglielo. Il presidente ha comunque precisato che “il coronavirus è sotto controllo negli Stati Uniti”.

Ma cosa sono i Coronavirus?

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Sono un tipo di virus appartenente alla famiglia Coronaviridae. Sono piuttosto diffusi tra mammiferi e uccelli e sette di loro possono infettare l’uomo, causando spesso il tipico raffreddore.

Più di un mese fa in Cina ne è stato identificato un tipo più aggressivo. È stato rinominato SARS-CoV-2, mentre la sua sindrome è stata nominata come Covid-19. Causa sintomi simili a un’influenza e, nei casi più gravi, polmonite o addirittura morte.

Al momento non esiste un vaccino (e molto probabilmente non ci sarà per i prossimi 12 mesi), ma delle cure per i sintomi.

Coronavirus: quanto impatterà sull’economia globale?

I risultati di una nuova ricerca mostrano che il coronavirus potrebbe avere un impatto su 5 milioni di aziende in tutto il mondo.

I nuovi focolai di coronavirus in Europa (e in Italia in particolare) sono solo l’ultimo gradino di un contagio che riguarda ormai anche l’economia. L’arresto di vaste aree della Cina infatti sta già avendo impatto su tutta quella rete aziendale direttamente e indirettamente collegata con la produzione asiatica, come mostra l’analisi svolta da Dun & Bradstreet.

Le aree colpite con 100 o più casi confermati al 5 febbraio scorso ospitano oltre il 90% di tutte le attività attive in Cina, secondo il report, e circa 49.000 imprese in queste regioni sono filiali di società straniere.

Quasi la metà (49%) delle società con filiali nelle regioni colpite ha sede a Hong Kong, mentre gli Stati Uniti rappresentano il 19%, il Giappone il 12% e la Germania il 5%.

I ricercatori hanno calcolato che almeno 51.000 aziende in tutto il mondo hanno uno o più fornitori diretti o di “livello 1” nella regione colpita, mentre almeno 5 milioni hanno uno o più fornitori di “livello 2”.

L’impatto sulle imprese in Cina e nel mondo sta già trascinando le previsioni di crescita economica per l’anno.

In una nota di ricerca pubblicata lunedì scorso, Moody’s ha rivisto al ribasso le sue previsioni di crescita globale di due decimi di punto percentuale, prevedendo che le economie del G-20 crescano collettivamente a un tasso annuo del 2,4% nel 2020 con la Cina che scivolerà al 5,2%.

Questo con una previsione di contenimento del virus entro la fine del primo trimestre, ripristinando la “normale attività economica” nel secondo trimestre.

Cosa succederà all’economia Italiana?

Se l’interruzione del carnevale di Venezia assesta un duro colpo all’economia del capoluogo veneto, Milano si è svegliata non solo deserta, in questo inizio settimana.

Piazza Affari ha registrato un lunedì nero per i titoli del settore bancario, a causa dell’effetto coronavirus. E se la Borsa scivola, lo spread sale, fino a quota 145, in aumento di 6 punti base rispetto alla chiusura di venerdì.

Nell’immediato, gli italiani usciranno meno a cena. Prenderanno un numero inferiore di caffé al bar, ma faranno spese più consistenti al supermercato e l’effetto sul netto sarà quasi zero”.

Ma a preoccupare è un settore in particolare. Se la crisi sarà risolta entro il primo trimestre dell’anno, le conseguenze peggiori saranno quelle sofferte dal settore del turismo. Intendendo non solo il settore alberghiero e della ristorazione, ma anche, solo per fare qualche esempio, trasporti, aerei e treni.

La contrazione del turismo comporta anche un calo degli acquisti, cosa che va comunque a nuocere al made in Italy, in generale. Ma non è tutto: anche gli accessori di lusso ne soffriranno.

Infatti diminuiranno gli acquisti cinesi di quei beni destinati alla classe medio alta.

Quali sono le aree produttive più colpite?

L’epidemia italiana si è diffusa in particolar modo nelle regioni settentrionali della Penisola. Nello specifico, ad oggi le zone più colpite sono risultate:

  • Lombardia;
  • Veneto;
  • Emilia Romagna;
  • Piemonte;
  • Trentino Alto Adige.

I comuni interessati dal focolaio sono stati messi in quarantena obbligatoria. Scuole e università sono state chiuse, così come sono state annullate le manifestazioni pubbliche, tra cui il carnevale di Venezia.

D’altronde, ha fatto notare Milano Finanza, il Veneto e la Lombardia determinano il 30% della ricchezza nazionale.

Ma non solo. Stando ai dati Istat del 2017 (gli ultimi disponibili per divisione regionale), l’Emilia Romagna, il Veneto e la Lombardia hanno contribuito al 40,1% del PIL tricolore, circa 703 miliardi di euro. Esse, allo stesso modo, totalizzano oggi circa il 50% dell’export nazionale.

Coronavirus e smartworking

L’Italia si avvia nel settore lavorativo a seguire le orme della Cina, dove da settimane è in atto quello che è stato definito “il più grande esperimento di smartworking mai messo in atto”.

Milioni di lavoratori costretti a casa per la quarantena obbligatoria stabilita dal governo per tutti i cittadini, per contenere la diffusione del coronavirus, al lavoro con telefono e computer.

Persino le scuole si sono organizzate in questo modo, dalle elementari al liceo. Con numeri diversi, vista la differenza della popolazione (oltre un miliardo i cinesi, 60 milioni gli italiani) l’Italia da oggi può seguire seguire la stessa strada sull’onda della stessa emergenza sanitaria: le Regioni maggiormente colpite dal contagio hanno chiesto alle aziende di limitare al minimo gli spostamenti e a fare uso il più possibile del telelavoro, e le aziende si stanno adeguando.

Attualmente, secondo i dati dell’Osservatorio del Polimi, opera in smart working il 58% delle grandi imprese, si tratta di 570.000 lavoratori.

Tra il 2018 e il 2019 c’è stata una crescita del 20%. Lo spazio di crescita è molto maggiore. Circa cinque milioni di lavoratori in Italia potrebbero adottare lo smart working.

Molti di loro lavorano in aziende di piccole e medie dimensioni.

Ci sono anche pubbliche amministrazioni: a Torino il Catasto ha avviato con successo il progetto di edilizia agile, che ha permesso di ampliare gli orari di apertura e di avere una maggiore produttività.

E ci sono anche attività che non si pensa possano essere svolte in modalità agile, come la manutenzione.

Lo ha fatto per esempio la ABB di Genova, che prima mandava i propri dipendenti in Uganda e invece adesso, dopo aver lavorato sui processi con le nuove tecnologie, può intervenire a distanza”.

Insomma l’emergenza rappresenta una grande sfida anche sotto il profilo dell’evoluzione del lavoro.

Se lo smart working si affermasse come una buona soluzione per superare le difficoltà temporanee, significherebbe anche poter dare maggiore spazio in futuro a modelli di organizzazione che prediligono la flessibilità.

Tutto questo con maggiori vantaggi competitivi dell’azienda e benefici “collaterali”, da quelli sulla vita personale dei dipendenti a quelli sul traffico cittadino e più in generale sull’ambiente.

Per combattere questa crisi dovremo fare ricorso alle doti tutte italiane di adattabilità e ingegno. Dovremo fare in modo di trovare nuove soluzioni per il lavoro e nuovi modelli di business che funzionino in futuro.

Anche in condizioni come quelle di oggi, dove fra una città ed un’altra ancora non si circola, dove i flussi di merci non sono in movimento.

Dove la catena della fornitura di tanti settori industriali è interrotta, dove forse molte aziende intermedie scompariranno e falliranno.

Oggi la crisi del virus impatta di colpo sul nostro paese e sulla nostra vita.
Dobbiamo ricorrere alle stesse risorse che il popolo cinese ha utilizzato per stare compatto, credere nel risultato finale e battere il virus.

La disciplina di un popolo, e la motivazione comune porta ad un coagulo di speranze e di positività.

Porta al raggiungimento dell’obiettivo comune.

Se si farà così, anche In Italia questo incubo, finirà.

Di fronte ad un evento del genere, devastante a livello globale non si può certo rimanere indifferenti.

Anche Alzarating si sente in dovere di fare un articolo su questo argomento e di informare tutti i nostri lettori. Naturalmente si spera che questa sorta di “Cigno Nero” diventi presto un lontano ricordo.

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